Ciò che resta 

Mostra personale di Alessio Bolognesi

15.07 - 22.08.2021

a cura di Irene Finguerra

Il titolo rinvia a qualcosa di nostalgico, a quello che rimane, forse nella memoria o nel ricordo. Alessio Bolognesi presenta una doppia serie di lavori che da un lato si radicano nella antropologia e nella tradizione per cogliere quanto di riti, feste o mitologie rimane nel vissuto quotidiano e nella sua ritualità, dall’altro, giocando come un Giano bifronte che, dopo aver guardato verso il passato, si volge al futuro, immagina quello che resterà dell’oggi in un futuro prossimo come testimonianza del nostro vivere.
Il primo gruppo di lavori si ispira alla profonda ricerca antropologica del fotografo francese Charles Fréger che ha studiato le tradizioni e riti pagani di gruppi sociali di vari continenti, dall’Europa all’Asia, dall’Africa all’America. Sono uomini e donne che si mascherano, indossando costumi che li rendono simili agli animali che sono più vicini al loro ambiente e che venerano o temono. Si attiva così un culto che comprende sia il mondo animale sia il mondo vegetale. Pensiamo ai più noti per noi Sos colonganos sardi che indossano giacche e pantaloni di pelle di pecora e portano sulle spalle ossa di animali di vario genere, non i tradizionali campanacci, che agitano costantemente emettendo suoni cupi. Rappresentano un rito propiziatorio ma anche triste perché inscenano l’uccisione di un cinghiale, impersonato da un uomo con un abito fatto della pelliccia dell’animale, l’animale selvaggio che rappresenta le forze maligne. Anche il mondo vegetale rinvia a riti ancestrali: pensiamo alle zucche che vengono scavate per Halloween e illuminate all’interno che hanno le loro radici nella festa celtica per onorare i defunti, accendendo ceri e incensi e visitando i luoghi di sepoltura.
Bolognesi si interroga su quanto di questi riti rimarrà vivo nelle generazioni future: in realtà possiamo ipotizzare che non tutto andrà disperso, anche perché la maggior parte di questi culti sono radicati in comunità periferiche rispetto ai centri urbani e dove neppure la progressiva cristianizzazione e insieme laicizzazione della società ha soffocato il ripetersi di riti pagani molto legati alla terra e al mondo animale e vegetale. Sono realtà che immaginiamo resilienti ben al di là del folclore da turismo distratto.
La tecnica che Bolognesi utilizza per le carte di questo ciclo così la descrive: “la serie rappresenta una transizione e uno studio. Coesistono infatti elementi ormai consolidati, come i supporti realizzati tramite collage di carte antiche, con l’uso di una base di colore che tende ad essere un po’ più “pittorica” e meno “riempitiva”. Tale base è realizzata talvolta con l’acquerello al fine di conservare l’aspetto della grafia presente sulle carte e farla trasparire all’interno delle figure, talvolta con acrilico molto acquoso e altre con colore più denso e coprente. Sopra al colore, la consueta finitura a china, realizzata tramite pennelli e pennini che tendono però ad essere usati soprattutto per definire contorni e linee dettagliate, piuttosto che per un tratteggio per la definizione dei chiaro-scuri. Ogni opera reca posteriormente uno scritto a matita che è un richiamo alle origini del costume o un aneddoto”.
I lavori della seconda serie, Fossili urbani, ci presentano dei fossili che arrivano dal futuro: una visione che ci sottolinea l’urgenza di rispettare il nostro pianeta. I soggetti che rinviano ai fossili del passato sono mescolati con oggetti di plastica, lattine, accendini: tutti quegli oggetti che la nostra maleducazione distribuisce senza pietà nel pianeta, contaminandolo con la nostra trascuratezza. 
Ciò che resterà di noi alle prossime generazioni segnala l’offesa alla natura, creando dei fossili anomali. Per offrire disegni che siano tecnicamente vicini alle tavole naturalistiche ottocentesche, Bolognesi usa sempre carte antiche, applicate su pannelli insieme e stucco, sabbia e pittura al fine di richiamare l’aspetto di una pietra fossile. Le basi di colore (acquerello ed acrilico) sono quasi monocrome e giocano con toni bruni e seppia per richiamare, insieme al colore della carta, le rocce che imprigionano i resti. Ci sono poi elementi in contrasto dipinti con toni di rosso. La base pittorica è molto meno definita e ancora il tratto la fa da padrone nel definire contorni e ombreggiature.
A siglare un sunto delle due serie: il passato e il futuro che si guardano e si interrogano, abbiamo selezionato alcune tavole della serie Memento mori, per ricordare come la vanità sia fragile e la vita sia da vivere con intelligenza e senza superbia.

Irene Finiguerra